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29/06/2023

Le Pmi frenano, ma resistono alla crisi e crescono ancora

Presentato il rapporto regionale sulle Piccole e medie imprese a cura di Confindustria. Inflazione e aumento del costo del debito cominciano a farsi sentire. Grassi: "Su Pnrr ancora nessun segnale, occorre fare in fretta ed agevole anche la transizione green", Orsini: "Per le Pmi situazione tesa,  in un momento in cui escono già fortemente indebitate dalla crisi pandemica e da quelle generate dal caro energia e dal conflitto russo-ucraino"

Le piccole e medie imprese italiane, pur con segnali di rallentamento, reggono agli shock sequenziali che negli ultimi anni hanno colpito il sistema economico. Nel 2022 crescono fatturato e valore aggiunto ma pesano l'inflazione e l'aumento del costo del debito.

E' la fotografia che emerge dal Rapporto Regionale Pmi 2023, realizzato da Confindustria che analizza i conti economici delle circa 160.000 Pmi italiane. Il Rapporto stima una sostanziale tenuta di fatturato (+2,4%), valore aggiunto (+1,4%) e Mol (+2,9%), che recuperano i livelli del 2019 (rispettivamente +9,1%, +8,7% e +14,9%).

Questi indicatori però "sono accompagnati da evidenze che suggeriscono una possibile inversione di tendenza nel prossimo biennio", con segnali di rallentamento "più significativi nelle zone del Centro-Sud che lasciano ipotizzare un incremento del divario strutturale tra sistema produttivo settentrionale e meridionale". 

Gli effetti dell'inflazione

I primi effetti dell'inflazione e dell'aumento del costo del debito fanno contrarre la redditività netta e gli utili delle Pmi: nel 2022 si stima infatti un calo del Roe dello 0,6% (dal 12% all'11,4%), con una riduzione più marcata al Centro e nel Mezzogiorno, mentre, Nord-Est e Nord-Ovest soffrono di meno.

In parallelo, aumenta la quota di Pmi in perdita, passando dal 12,2% del 2021 al 27,9% del 2022, con effetti più significativi nell'Italia centrale (dal 13,4% al 29,8%).

Diminuiscono invece i fallimenti su base annua (-34,7%) e le procedure non fallimentari (-49,4%), confermando la prosecuzione del congelamento delle chiusure che si osserva dal 2019.

Grassi: non ci sono passi avanti su messa a terra Pnrr

Per l'Italia "il Pnrr è un'occasione storica a patto che sia attuato con decisione. Purtroppo, è passato un altro anno senza grandi passi avanti nella sua messa a terra".

E' quanto sostiene il vicepresidente e presidente del consiglio delle rappresentanze regionali di Confindustria, Vito Grassi, sottolineando che "occorre, in definitiva, spendere bene, più velocemente e in maniera integrata i fondi Pnrr, quelli strutturali europei e nazionali, ritrovando quel carattere di 'addizionalità' che sembra abbiano ormai perduto".

Nell'attuale scenario, tra inflazione e rialzo dei tassi di interesse, "per aiutare le imprese a crescere è necessario un disegno di politica economica e industriale coerente e di medio-lungo periodo, che agisca in primis correggendo le criticità strutturali con cui devono fare i conti le Pmi e mediante incentivi mirati che risolvano o attutiscano i principali deficit", viene spiegato nel Rapporto, secondo cui, la prima azione che il Pnrr deve sostenere è l'implementazione delle riforme: del lavoro, che includa le politiche attive; del sistema scolastico, del sistema giudiziario e del fisco.

Oltre alle riforme, il piano "gioca un ruolo centrale per la realizzazione degli investimenti a sostegno della competitività, non solo del sistema imprenditoriale, ma di tutto il territorio". La prima occasione di aggiornamento del Piano è rappresentata da REPowerEu.

"La priorità - sottolinea Confindustria - dovrebbe essere focalizzata su interventi da attuare con strumenti automatici, che possano, da un lato, sostenere le imprese ad affrontare i costi della trasformazione green e, dall'altro lato, favorire le condizioni di contesto a supporto di questo processo, tra cui gli investimenti nel digitale e sulle competenze necessarie in quest'ottica".

(Emanuele Orsini, vice presidente di Confindustria per il credito, la finanza e il fisco)

Orsini: preoccupa l'aumento dei tassi di interesse

"Siamo molto preoccupati dell'andamento dei tassi d'interesse interesse, soprattutto alla luce dell'annuncio fatto da Christine Lagarde su un nuovo aumento dei tassi a luglio", dice invece l'altro vicepresidente - per il credito, la finanza ed il fisco - Emanuele Orsini. 

"Il credito è divenuto repentinamente molto più caro. A giugno il costo del denaro è arrivato al 4% e sta spiazzando la domanda delle imprese, come emerge chiaramente anche dal Rapporto Regionale Pmi", aggiunge Orsini, sottolineando che "la questione è seria. Si tratta forse della principale preoccupazione delle imprese in questo momento".

L'aumento dei tassi "rende più tesa la loro situazione finanziaria, in un momento in cui escono già fortemente indebitate dalla crisi pandemica e da quelle generate dal caro energia e dal conflitto russo-ucraino", avverte Orsini, spiegando che "l'effetto è che viene a mancare un sostegno a produzione e investimenti". Il sostegno "è invece essenziale per consentire alle imprese di affrontare le sfide della transizione sostenibile e digitale in atto".

"Una parte delle risorse - aggiunge - potrà venire dal Pnrr, che potrebbe essere appositamente rimodulato; non dobbiamo dimenticarci che è stato disegnato nel 2020.

Resterà comunque un funding gap importante e il ruolo del settore finanziario sarà determinante nel sostenere la transizione delle imprese verso la sostenibilità e più in generale nell'accompagnarle verso una piena consapevolezza e l'integrazione dei principi Esg nelle loro strategie".

Redazione Cuoreeconomico
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