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28/07/2023

LUIGI SBARRA (CISL):’Lavorare insieme per non ‘bruciare’ il capitale umano della generazione più istruita di sempre’

(Luigi Sbarra, Segretario Generale CISL)

A tutti noi pare di poterci intendere immediatamente quando parliamo di dignità del lavoro. È facile individuare alcuni elementi materiali e oggettivi che definiscono dei limiti invalicabili delle condizioni di lavoro dignitose.

Il lavoro che dà accesso a una retribuzione proporzionata e “in ogni caso sufficiente ad assicurare un'esistenza libera e - appunto - dignitosa”, come recita la Costituzione al sua articolo 36. Il lavoro che occupa una quota massima di tempo nella giornata, il lavoro che si svolge in condizioni di sicurezza.

Spesso si associa poi la dignità del lavoro con la sua stabilità, con l’esistenza di una reale giustificazione per la sua temporaneità. Tanto che una nota legge che è intervenuta sul lavoro a tempo determinato aveva assunto proprio il nome di “Decreto Dignità”.

E tanto che su questo stesso aspetto si concentra il decreto lavoro varato di recente, che fornisce un’importante delega alla contrattazione collettiva.

È fondamentale per una società avere dei parametri di riferimento che permettano di misurare la distanza di una situazione lavorativa da una condizione di sfruttamento. Eppure non possiamo e non dobbiamo pensare che la dignità del lavoro si esaurisca in una sua visione “difensiva”, individuata da dei limiti inderogabili.

La dignità del lavoro è anche una questione soggettiva, di possibilità di realizzazione della persona. Questo ci dice proprio la nostra Costituzione all’art. 46 quando, proprio a scopo della “elevazione” della persona, prevede la possibilità che essa collabori alla gestione delle aziende.

La dignità del lavoro si realizza cioè quanto più il lavoro dell’uomo si differenzia da quello di un ingranaggio, quanto più riconosce alla persona la capacità e il potere di portare il suo contributo umano, intellettivo, al processo produttivo e nelle decisioni aziendali.

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Qualche anno fa fece scandalo l’ipotesi che una nota multinazionale della logistica potesse utilizzare un braccialetto elettronico che avrebbe trasmesso vibrazioni al lavoratore “manovrandolo” nelle sue attività. Si mobilitò tutta la politica, perché la persona che lavora non può essere trasformata in automa senza che venga negata la sua dignità.

Quell’episodio ci indica come la dignità piena del lavoro è nelle possibilità innescate dai modelli organizzativi di fornire un libero apporto umano nel processo creativo e produttivo. C’è dunque un legame tra la dignità del lavoro e il valore della partecipazione.

Intesa in termini di accesso alle informazioni riguardanti le logiche e le progettualità della produzione; in termini di contributo alla formulazione di soluzioni produttive; in termini di voce in capitolo nelle scelte strategiche. Partecipazione anche come compartecipazione ai profitti e quindi come logica redistributiva.

Quest’ultima dimensione in particolare, realizza un meccanismo di sostenibilità sociale, perché significa distribuire in base ad un miglior riconoscimento delle responsabilità organizzative e dei meriti di chi partecipa alla produzione e contribuisce ad aumentare la produttività.

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Negoziare il coinvolgimento nei processi che determinano la produttività è anche la via per non sprecare e non deprimere i talenti delle persone e le loro professionalità. Ed anzi inserirle in processi virtuosi di miglioramento continuo e di sviluppo delle competenze.

Soprattutto oggi, nell’economia della conoscenza avanzata, la legge e la contrattazione dovrebbero occuparsi di come fare in modo che non venga bruciato il capitale umano della “generazione più istruita di sempre”, come ebbe a definirla Mario Draghi.

Fare in modo cioè che i giovani italiani di oggi non siano condannati al penultimo posto per tasso di attività in Europa e ad un guadagno del 21% inferiore a quello della media degli altri occupati. Sono questi gli elementi qualificanti della proposta di legge di iniziativa popolare della Cisl per una governance partecipata alla vita delle imprese.

Un testo che ambisce ad ammodernare e far evolvere le relazioni sociali e industriali del Paese, verso un paradigma di corresponsabilità che conviene a tutti: ai lavoratori, che possono negoziare salari più alti, maggiore flessibilità organizzativa, un peso maggiore nelle strategie delle loro aziende, redistribuire la ricchezza prodotta e frenare le delocalizzazioni.

Ma anche alle aziende, che hanno l’opportunità di elevare produttività, innovazione di processo e prodotto, formazione e ricerca, radicamento e senso di appartenenza del lavoratore.

La partecipazione e la democrazia economica sono acceleratori formidabili di una nuova sostenibilità sociale e ambientale che lo Stato deve incentivare, verso un “patto di dignità” che dia stabilità e qualità nei percorsi lavorativi, elevando le competenze attraverso percorsi di formazione continua.

La sostenibilità è un orizzonte irrimediabilmente collettivo, perché dipende dagli equilibri tra produzione e consumo innescati dai comportamenti delle persone. Per questo non può realizzarsi senza un patto tra i gruppi sociali e tra le generazioni. Il mondo del lavoro non può sottrarsi a questa responsabilità.

Di LUIGI SBARRA, SEGRETARIO GENERALE CISL
(Riproduzione riservata)

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