Borghesi (Nidil Cgil): «Sostegni e certezze per somministrati e partite Iva, stop a supermarket dei contratti»

(Andrea Borghesi, segretario generale Nidil Cgil)
Il segretario generale del sindacato delle nuove identità di lavoro: «Giusto venire incontro alle esigenze delle imprese, ma bisogna tutelare questa categoria dei lavoratori. Discutere sull’equo compenso»
Se l’occupazione cresce, non altrettanto può dirsi sul fronte della stabilità lavorativa. I recenti dati dell’Istat certificano infatti come a fronte di una ripresa dopo i due anni pandemici, sia parallelamente avanzato il lavoro breve, con contratti a tempo determinato, alcuni anche molto brevi.
Ed anche tutto il lavoro atipico e quello somministrato continuano a crescere, segno di un quadro occupazione in grande movimento ma tutt’altro che sereno.
La congiuntura economia che l’Italia vive ovviamente, non fa che rendere ancora più evidente questa situazione. Andrea Borghesi, segretario generale della Nidil Cgil, il sindacato che si occupa appunto delle cosiddette “nuove identità di lavoro”, traccia un quadro e disegna le prospettive: «Milioni di persone, in Italia, vivono in condizioni di precarietà lavorativa e salari bassi - sottolinea - pur contribuendo tutti i giorni alla ricchezza del nostro Paese: questo dato è evidente e incontrovertibile. Ci sono diverse cose che si potrebbero fare, molte delle quali hanno bisogno di un intervento legislativo e normativo».
E precisa: «Innanzitutto bisogna iniziare riducendo le tipologie contrattuali, quello che noi abbiamo chiamato il “Supermarket dei contratti”.
La possibilità lasciata alle aziende di instaurare, a parità di mansione, una tipologia di rapporto di lavoro piuttosto che un’altra crea due conseguenze: un dumping di tipo salariale, perché spesso non è previsto un minimo retributivo, e un dumping sociale, perché sopravvivono forme di lavoro che non prevedono contribuzione, sostegni sociali al reddito, per la maternità e la malattia».
Le partite Iva, la tassazione e i sostegni
In questo quadro, un ruolo sempre più importante lo giocano le partite Iva, visto che sono ormai tantissimi i professionisti che decidono di svincolarsi proprio da legami lavorativi instabili e mettersi in proprio, con la prospettiva, forse, di trovare più spazio.
Ma è qui che entra in scena il problema della tassazione, oggi ancora di più con l’inflazione che galoppa e che si fa sentire anche sulle tasche degli autonomi. Borghesi non nasconde le preoccupazioni: «Il sistema fiscale italiano - spiega - avrebbe bisogno di essere riordinato rivedendo i tanti regimi speciali che lo caratterizzano.
Il principio a cui costituzionalmente si deve ispirare è quello della progressività, chi più ha più paga; mi pare che non si stia andando in questa direzione e alcune proposte presentate alle elezioni ne sono un esempio.
Il rischio molto concreto della riduzione non progressiva delle imposte è una contestuale riduzione dei servizi comuni che il ricco potrà sempre pagarsi, ma il lavoratore a reddito medio o basso, dipendente o autonomo, ce la farà? Io non credo».
«Il tema della tassazione, poi, per i lavoratori autonomi con partita iva individuale, tende a nascondere un’altra insidia - aggiunge - quello del reddito disponibile, delle coperture in caso di riduzione delle commesse o di malattia, maternità, infortunio.
Il reddito disponibile, infatti, si è andato riducendo, in particolare con la pandemia: i professionisti iscritti alla Gestione separata Inps per l'anno 2020 hanno dichiarato mediamente 14.500 euro».
Per cui, secondo Borghesi «è evidente che il tema non è tanto l'aliquota fiscale ma come si assicura anche loro che esistano parametri retributivi certi rispetto alle commesse che ricevono, in relazione alla qualità del lavoro svolto: la discussione sul compenso equo sta a monte di tutte le altre.
Poi andrebbe costruito un sistema di sostegno in caso di “disoccupazione”, malattia, maternità, infortunio degno di questo nome, insomma un sistema universale di ammortizzatori sociali al di là della tipologia d'impiego».
Il lavoro somministrato cresce, ma serve continuità occupazionale
Un altro dato è la crescita del lavoro in somministrazione, anche per i contratti a tempo indeterminato: «Il lavoro in somministrazione è in crescita da diversi anni - dice il segretario Nidil Cgil - in particolare nella componente dei lavoratori a tempo indeterminato, arrivati ad oltre 100.000, circa il 20% del totale.
Questo strumento è venuto incontro alle necessità dell'impresa di governare le flessibilità legata a andamenti di mercato sottoposti a oscillazioni.
Sempre più spesso, però, è diventato anche un elemento strutturale del mercato del lavoro. Il suo successo è poi legato al fatto che le aziende utilizzatrici spostano sulle agenzie per il lavoro una serie di oneri legati alla selezione, formazione e gestione delle risorse umane».
«Il punto su cui ci battiamo, e che è anche al centro della piattaforma di rinnovo del Ccnl - aggiunge - è quello della continuità occupazionale sia per i lavoratori a termine sia per quelli a tempo indeterminato, anche in funzione di una stabilizzazione presso le imprese utilizzatrici.
La cosa che si tenta di fare per via contrattuale è evitare, in assenza di norme che lo impediscano, che una persona rimanga somministrata a vita o che venga continuamente sostituita».
L’instabilità politica, il lavoro e il Pnrr
Intanto però si è votato di nuovo, con l’Italia che avrà un Governo diverso «e questo non aiuta la realizzazione di politiche coerenti di contrasto alla precarietà e di miglioramento delle condizioni di lavoro di milioni di persone», ricorda Borghesi che punta l’indice sui partiti, i quali «fanno una gran fatica a recuperare al centro dei programmi il lavoro e la sua qualità.
Quando va bene, colgono una parte del problema ma mai la sua complessità. Eppure un buon lavoro, ben retribuito e con un certo margine di sicurezza, costituisce la condizione fondamentale per una società e una democrazia più forte, più coesa, meno diseguale»
Resta fondamentale, secondo Borghesi attuare il Pnrr: «è il minimo, il minimo vista la necessità di investimenti che ha il Paese.
Allo stesso tempo però - avverte - anche qui manca un progetto di riforma che punti a migliorare la quantità e la qualità della nostra occupazione, anche nella Pubblica Amministrazione.
Le tante risorse previste per le politiche attive, per esempio, e per il miglioramento dell'offerta di lavoro rischiano di non incontrare altrettanta domanda di qualità da parte di imprese e PA.
Per evitare questo rischio sarebbe da attuare un piano straordinario per l'occupazione adeguatamente sostenuto dallo stato».
Di Emanuele Lombardini
(Riproduzione riservata)
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