ven 12 dic 2025

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Gesmundo (Cgil Puglia): «Ripresa maxi, lavoro mini con l’87% di contratti precari. Il Pnrr per un riequilibrio territoriale»

(Pino Gesmundo, segretario regionale Cgil Puglia)

Il segretario regionale: «Lavorare sulla riconversione di Acciaierie e centrale di Brindisi per creare un grande hub dell’idrogeno. Puntare su produzioni che trascinino lavoro di qualità, altrimenti sarà desertificazione sociale»

La Puglia che riparte dopo la pandemia e si appresta ad affrontare un 2022 che dovrà segnare il rilancio non solo dell’Italia ma anche dei territori.

CUOREECONOMICO ne parla con Pino Gesmundo, segretario della Cgil regionale pugliese.

Come ha reagito il mondo produttivo e del lavoro pugliese alla ripresa dopo la pandemia? Quali sono le prospettive e quali le criticità?

«I dati più recenti contenuti nel report regionale della Banca d’Italia, aggiornati a settembre, ci dicono che nei primi nove mesi l’economia della Puglia ha registrato una forte ripresa. Anche oltre la media Mezzogiorno e Italia.

Ma sappiamo bene che si tratta di un rimbalzo dopo il terribile 2020 e non c’è stato ancor un recupero dell’attività rispetto ai livelli pre pandemia.

Ma come ha detto la Cgil, se la ripresa è maxi, il lavoro è mini: da un lato i numeri dicono che i fatturati delle imprese crescono, cresce la loro redditività, dall’altro il precariato come forma quasi prevalente di opportunità occupazionale.

A quel più 6,5 per cento di Prodotto interno lordo registrato nel primo semestre dell’anno fa da contraltare il dato dell’87 per cento di assunzioni rappresentate da contratti a tempo determinato.

Le criticità, allora, sono legate all’aspetto dimensionale del sistema produttivo pugliese, dove prevale la piccola impresa con limitate capacità di investimento e innovazione, e la struttura stessa produttiva trainata da settori a basso valore aggiunto e lavoro dequalificato con bassi salari, che si certo non trainano la domanda interna.

Serve investire su innovazione di processi e di prodotto, anche per sostenere buona e qualificata occupazione, aprirsi sempre più ai mercati internazionali, anche per assecondare anche i processi in corso di transizione digitale, ambientale ed energetica, che non sono avulsi dalla struttura d’impresa».

Transizione ecologica e digitale, a che punto siamo in Puglia?

«L’opportunità che deriva dagli investimenti del Pnrr va colta in pieno. La Puglia è la regione che ha sostenuto in questi anni un peso ambientale enorme legato per produzioni industriali ed energetiche, con ricadute in termini di inquinamento dei territori e salute di lavoratori e cittadini.

Adesso il Governo e l’Europa devono sostenere processi di risanamento e riconversione, dall’acciaieria di Taranto alla raffineria e alla centrale di Brindisi.

Noi sosteniamo l’idea della Puglia come hub per sviluppare una vera e propria filiera dell’idrogeno in un’ottica di economia circolare, promuovendo politiche industriali che mettano in sinergia la filiera energetica con il ciclo dei rifiuti e del servizio idrico: utilizzo delle biomasse e dei fanghi da depurazione.

Ma serve che la politica accompagni questa transizione, predisponendo misure che consentono le ristrutturazioni aziendali con investimenti idonei, altrimenti il nostro sistema manifatturiero rischia di scomparire o nella migliore delle ipotesi veder crescere costo che lo renderanno sul mercato globale ancor meno competitivo.

Va aperto un tavolo con i grandi gruppi a partecipazione pubblica che in Puglia già sono insediati, da Enel a SNAM così come l’Eni, per capire che strategie hanno.

È tutto il sistema produttivo che deve farsi trovare pronto, così come per i processi di digitalizzazione, perché se da un lato si investe sulle infrastrutture, le nuove tecnologie vanno anche ridefinire cosa e come produrre, quali servizi ricevere o utilizzare e in che forme. Anche come si ridefiniscono le competenze lavorative alla luce di questi cambiamenti».

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Voi siete critici rispetto alla manovra del Governo. Cosa manca secondo lei, con particolare riferimento al gap fra nord e sud?

«Noi abbiamo affermato che la manovra di bilancio proposta non è all’altezza da un lato delle emergenze sociali che vive il Paese, non risponde a criteri di giustizia e soprattutto sembrano per alcuni versi contraddire quello che è la missione invece del Pnrr.

Ricordiamo che l’Italia ha ricevuto quella straordinaria dote finanziaria a causa del divario territoriale e sociale di cui soffre il Paese. Allora non solo il Pnrr ma ogni intervento dovrebbero andare in quella direzione.

Ma se si sostengono i redditi più alti, sul piano fiscale, cioè quei redditi più diffusi nel Nord del Paese, di fatto si acuisce un divario.

Se non si tiene conto di una struttura produttiva nel Mezzogiorno dove prevalgono lavori dequalificati e quindi salari bassi e maggior precariato, non intervenire per sostenere i salari e non prevedendo una riforma pensionistica che non punisca donne e giovani, ancora una volta si sta penalizzando una parte del Paese».

Quale può essere il volano della Puglia in questa fase di ripartenza?

«L’unico volano rimane il buon lavoro: sicuro, stabile, ben retribuito, capace di garantire emancipazione indipendenza alle persone, e non condannarle all’assurdo di oggi in cui si è poveri anche lavorando.

Cito alcuni dati: in Puglia un terzo delle persone che vivono in nuclei famigliari è a rischio povertà. Il 10 per cento della popolazione ha un Isee sotto i 10000 euro.

Pensioni medie dei settori privati di 700 euro nette mensili. Il 17% dei dipendenti è a bassa paga, ovvero con retribuzione orario inferiore a 2/3 rispetto a quella mediana sul totale dipendenti. Il part time involontario riguarda il 13,3% degli occupati.

Allora dall’industria ai servizi, dal turismo all’agricoltura, va innalzata la capacità di innovare, di puntare su produzioni di qualità che trascinino lavoro di qualità, dando orizzonte occupazionale degno ai quei giovani più formati che continuano a emigrare da questa regione, con il rischio prossimo futuro paventato dallo Svimez di desertificazione sociale».

Le risorse del Pnrr. Quali sono secondo lei gli asset dove dovrebbero essere indirizzati per lo sviluppo della Puglia?

«Il Pnrr deve assecondare questi processi di innovazione del sistema produttivo, in primis investendo su infrastrutture che rendano più attrattivo e competitivo il territorio.

Dai trasporti alle reti ci sono interventi che rispondo a questa necessità. Vanno risanate le aree inquinate e occorre intervenire sul dissesto idrogeologico e la tenuta delle coste, perché il paesaggio, la natura, sono un elemento centrale per il brand Puglia, che si parli di turismo come di agricoltura, che deve avere risposte sull’assetto idrico e nel contrasto alla xylella, anche investendo su altre coltivazioni.

Ma una parte importante del Pnrr, sempre nell’ottica di colmare divari Nord-Sud, deve intervenire sulle infrastrutture sociali: asili, scuole, sanità, servizi pubblici, ammodernamento della pubblica amministrazione, contrasto alla criminalità che rappresenta un disincentivo agli investimenti.

Non serve solo immaginare strutture da realizzare, ma anche grandi programmi di assunzioni pubbliche. C’è tanto da fare, le risorse - tra Pnrr e nuova stagione dei fondi strutturali - ci sono e vanno utilizzate al meglio. Per dire davvero di una Puglia e di un Paese più gusto e unito».

Di Emanuele Lombardini
(Riproduzione riservata)

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