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24/04/2023

Treu: “Pnrr ci obbliga a confronto coi nostri limiti strutturali, investire su lavoro e competenze”

(Tiziano Treu, ex presidente Cnel)

Intervista a tutto campo col giuslavorista ed ex ministro che ha concluso in questi giorni il suo mandato da presidente del Cnel: “Serve maggior coordinamento per non perdere le risorse, l’Italia non se lo può permettere. Percorsi formativi attuali poco rispondenti alle esigenze del mercato e non al passo con innovazione. C’è un forte rischio di deindustrializzazione, soprattutto in alcuni settori: il futuro del lavoro sta nella capacità di sostenere le imprese, ma anche le famiglie”

E’ notizia di questi giorni l’avvicendamento al Cnel, il Consiglio Nazionale dell’Economia e del Lavoro. Arrivato a fine mandato, il giuslavorista ed ex ministro del Lavoro (con Dini e Prodi) e dei Trasporti (con D’Alema) ha lasciato il posto a Renato Brunetta.

Nel fare gli auguri di buon lavoro al nuovo presidente, CUOREECONOMICO ha voluto comunque intervistare Tiziano Treu, in una sorta di bilancio di fine mandato che è anche e soprattutto l’analisi degli scenari futuri disegnata da chi è stato parte attiva del contesto politico-economico negli ultimi 30 anni della nostra storia e che dunque ne conosce bene valori e storture.

Con Treu abbiamo cercato di capire dove va l’Italia e quali sono le sfide che attendono il Paese in questa difficilissima fase.

Che scenario economico vede per il Paese ed in particolare per il mondo del lavoro nei prossimi mesi? Il ritardo nell’attuazione del Pnrr è un campanello d’allarme?

Lo scenario è problematico come mai in passato. Persistono criticità strutturali come l’accesso al mercato del lavoro delle donne e dei giovani e le disparità esistenti nelle retribuzioni di entrambe categorie.

A questi si sono aggiunte le criticità che hanno originato nell’ultimo decennio il fenomeno del lavoro povero, denunciato per primo dal Cnel,

C’è bisogno, come sostengo da tempo, di un nuovo statuto non tanto dei lavoratori subordinati ma del lavoro nel senso più ampio. Il lavoro è cambiato ma non sono cambiate le tutele e l’organizzazione nelle imprese, ancora troppo ancorate alle dinamiche del passato.

Il problema principale è la mancanza di competenze per rispondere alle nuove sfide, nell’impresa come nel pubblico. Le due grandi transizioni, quella verde ma ancor di più quella digitale, hanno messo a dura prova le imprese. Il ritardo nell’attuazione del Pnrr è collegato solo in parte allo scenario economico.

Se nella fase di allocazione delle risorse siamo stati bravi, sulla cosiddetta messa a terra, come ho denunciato più volte, ci siamo scontrati con il vero problema del nostro Paese: la mancanza di competenze, a cominciare dai comuni che dovevano supportarne l’adozione, c’è stato un problema anche nella gestione del reperimento delle risorse e del loro inquadramento lavorativo. L’aspetto positivo è che il Pnrr sta obbligandoci a confrontarci con i nostri limiti strutturali”.

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Un problema segnalato da diversi settori è la mancanza di personale specializzato o qualificato. Quali possono essere a suo dire le soluzioni?

Preoccupa il fenomeno del Mismatch. Come abbiamo indicato di recente presentando i primi risultati del tavolo Cnel sul divario tra domanda e offerta c’è un problema strutturale legato all’inadeguatezza dei percorsi formativi, scolastici ma anche universitari.

Il tavolo sul mismatch istituito nel febbraio 2022 e coordinato dai consiglieri Silvia Ciucciovino e Michele Faioli, ha svolto ben 22 audizioni di istituzioni, imprese, associazioni e il coinvolgimento di oltre 100 esperti e manager.

Dal report, curato da Ruggero Parrotto, emerge che il mismatch nel 2022 ha raggiunto in certi settori il 40%. Attualmente, secondo gli ultimi dati di Unioncamere, ci sono 500.000 posti di lavoro vacanti.

In media le imprese impiegano 3,9 mesi a reperire il profilo ricercato. Il 16,8% dei profili richiede una ricerca tra 6 -12 mesi e per l’8,1% la ricerca supera i 12 mesi.

Molte le cause di questo quadro particolarmente complesso tra cui aspetti demografici, sociali, culturali, retributivi, ma soprattutto l’inadeguatezza di percorsi formativi poco orientati alle professioni richieste dal mercato e non al passo con l’innovazione tecnologica.

Le regioni del Centro-Sud sono quelle in maggiore sofferenza. Tra i settori più critici quello dell’informatica, dove c’è scarsissima disoccupazione ma grande difficoltà di reperimento, e quello della ristorazione, dove insieme a una difficoltà di reperimento si associa elevata disoccupazione.

Gli operai specializzati sono quelli di più difficile reperimento (55%) ma anche i dirigenti d’impresa (55%), mentre le maggiori difficoltà di reperimento sono nell’edilizia e nel manifatturiero.

Tre le proposte avanzate dal Cnel per contrastare questo problema: la costruzione di un sistema interregionale di raccordo fra domanda e offerta di lavoro, una sorta di cruscotto di “Emergenza Lavoro”; una piattaforma nazionale sull’orientamento; e infine, patti di collaborazione fra imprese e mondo universitario per integrare i programmi formativi degli studenti in modo da accelerare i tempi di accesso al mercato del lavoro”.

Come Cnel avete chiesto un confronto con le parti sociali sul tema del Superbonus. Quali sono le richieste nello specifico?

Nel riconoscere la valenza positiva dell’effetto-shock creato in un contesto economico duramente provato dalle conseguenze dei provvedimenti anti-Covid, ritengo che il principale fattore di criticità su cui dovrebbe concentrarsi l’attenzione del legislatore sia oggi rappresentato dalla eccessiva ampiezza del ventaglio di destinatari delle agevolazioni finanziate con risorse della collettività attraverso lo strumento del credito fiscale.

Il superbonus, anche solo per le difficoltà burocratiche connesse alla sua gestione, ha finito per favorire gli interventi sulle abitazioni dei ceti sociali più elevati.

Serve una riflessione sull’opportunità di prevedere, in futuro, percentuali differenziate di detraibilità a favore degli immobili di classe energetica bassa per promuovere l’efficientamento; in secondo luogo considerando la situazione patrimoniale del fruitore, in modo da favorire gli immobili più popolari e i redditi più bassi.

È apprezzato che sia salita la quota di agevolazioni in aree a reddito più basso, anche se è ancora prevalente la maggiore incidenza della misura e la più alta intensità di fruizione della stessa nel nord-est del Paese.

Il Cnel inoltre aveva evidenziato come l’intervento modificativo contenuto nel decreto di blocco del sistema costituisca una troppo brusca soluzione di continuità rispetto a una disciplina già strutturata in una prassi procedimentale che ha richiesto un notevole sforzo adattativo a un gran numero di attori coinvolti (imprese, condomìni, famiglie, proprietari di singole unità immobiliari) in pochi giorni.

Questi stessi hanno perduto gli indispensabili riferimenti normativi ai quali ritenevano di poter ancorare decisioni che impattano su un medio-lungo periodo.

E sebbene il decreto abbia previsto il mantenimento delle agevolazioni per coloro che ne avessero conseguito il titolo abilitativo entro il 16 febbraio, la ristrettezza del termine ha avuto il significato di escludere dal beneficio un’ampia platea di potenziali fruitori che avevano dato corso alle complesse e onerose attività preliminari all’avvio dei lavori e alla presentazione formale dei relativi titoli”.

Transizione ecologica e digitale possono andare a braccetto con lo sviluppo e la tutela del Made in Italy. Il Cnel aveva chiesto un piano industriale…

Le transizioni ecologica e digitale stanno mettendo a dura prova il nostro sistema industriale, economico e produttivo che tiene grazie alle performance degli ultimi due anni sia in termini di crescita (+10,5%) che di export (9,4%).

Ma serve un piano industriale in grado di sostenere le imprese ad affrontare le sfide globali. In questo momento, un primo obiettivo è puntare a rafforzare il nucleo delle imprese e dei distretti più competitivi.

A tal fine serve un maggiore coordinamento sia orizzontale, cioè tra le diverse istituzioni che si occupano di sostegno alle imprese e internazionalizzazione, sia a livello verticale con l’Europa soprattutto per sostenere la competitività con la Cina.

Per farlo dobbiamo puntare a superare quei limiti storici che hanno ostacolato la competitiva che da un lato sono strutturali (conseguenza della frammentazione del sistema economico-produttivo, costituito principalmente da piccole imprese), dall’altro dalla semplificazione normativa, ma anche sulla contrattazione.

La vera sfida è supportare le imprese nell’innovazione, in particolare le Pmi in modo da aiutarle ad essere all’altezza delle sfide globali. Le nostre imprese, anche per la loro dimensione, fanno fatica a fare innovazione. Il Pnrr rappresenta una grande opportunità.

Bisogna mettere in campo tutti i mezzi per contrastare il rischio di deindustrializzazione con iniziative per rafforzare la produttività sostenendo i settori in sofferenza come l’automotive, ad esempio, messo a dura prova dalla transizione ecologica e che rappresenta con il suo indotto da oltre cinquant’anni un asset economico strategico per il nostro Paese.

Lo scenario futuro del mondo del lavoro è legato alla capacità di sostenere le imprese in questa delicata fase storica caratterizzata dalle due grandi transizioni, verde e digitale”.

L’aumento dei tassi di interesse da parte della Bce ha riaperto il problema del credito per molte Pmi e anche per le famiglie con mutui a tasso variabile, che stanno vedendo schizzare in alto i tassi. C’è il rischio che possa diventare una bomba sociale? Quali possibili soluzioni?

Il problema c’è, ma dai dati non mi sembra che la situazione possa precipitare rapidamente. Ma servono interventi sulla situazione degli intermediari finanziari, sia di sostegno che di controllo.

Inoltre c’è l’esigenza di andare incontro ai bisogni delle famiglie, soprattutto quelle monoreddito, agendo sui salari. Il problema è che il nostro Paese, ormai da troppo tempo, non sostiene abbastanza il lavoro e, attraverso esso, le famiglie.

Il Covid e poi la guerra in Ucraina hanno inferto un colpo terribile alla nostra economia che stava appena uscendo dalla crisi del 2007. Ma i segnali recenti di ripresa sono incoraggianti.

Servono più investimenti nella educazione e nella formazione anzitutto dei giovani, perché il lavoro del futuro avrà sempre più contenuti di conoscenza.

Le imprese devono innovare nelle strutture e nelle strategie per cogliere le opportunità delle due transizioni digitale ed ecologica promosse dal Pnrr”.

Di Emanuele Lombardini
(Riproduzione riservata)

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