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24/11/2023

L'Italia invecchia e senza un cambio di rotta rischia il default

L'analisi della Cgia di Mestre: al Sud sorpasso già avvenuto dei pensionati sui lavoratori, a livello nazionale rapporto paritario. Le strade per arrestare il declino: erosione del sommerso e favorire ricambio generazionale e lavoro femminile. Ma i dati mettono l'Italia all'ultimo posto in Europa anche per formazione e competenza della forza lavoro

Se a livello nazionale il rapporto ormai è di uno a uno, nel Mezzogiorno, invece, il sorpasso è già avvenuto. Stiamo parlando del confronto tra il numero delle pensioni erogate è quello degli occupati.

Se in Italia il primo è pari a 22.772.000 e il secondo ammonta a 23.099.000, nelle regioni del Sud e delle Isole le pensioni pagate ai cittadini sono 7.209.000, mentre gli addetti sono 6.115.000.

L’Italia insomma è sempre più un Paese di pensionati e sempre meno un Paese per lavoratori, soprattutto se giovani.

A confermare il dato è la Cgia di Mestre che lo definisce “un risultato preoccupante che dimostra con tutta la sua evidenza gli effetti provocati in questi ultimi decenni da tre fenomeni strettamente correlati fra di loro: la denatalità, l’invecchiamento della popolazione e la presenza dei lavoratori irregolari.

La combinazione di questi fattori sta riducendo progressivamente il numero dei contribuenti attivi e, conseguentemente, ingrossando la fila dei percettori di welfare”.

Le sfide da vincere

Si tratta ovviamente, di creare un sistema che in qualche modo ristabilisca gli equilibri, anche se – qualora anche si trovasse una soluzione, che al momento non c’è – i risultati li avremmo non prima di 20-25 anni.

Le soluzioni più immediate e rapide per avere almeno un inizio di inversione di marcia, secondo la Cgia sono quindi diverse: “Innanzitutto, portare a galla una buona parte dei lavoratori “invisibili” presenti nel Paese.

Stiamo parlando di coloro che svolgono un’attività in nero che, secondo l’Istat, ammontano a circa 3 milioni di persone che ogni giorno si recano nei campi, nelle fabbriche e nelle abitazioni degli italiani a svolgere la propria attività lavorativa irregolare”.

Ma non c’è solo questo. Secondo il centro studi degli artigiani mestrini, è necessario “incentivare ulteriormente l’ingresso delle donne nel mercato del lavoro, visto che siamo fanalino di coda in Europa per il tasso di occupazione femminile (pari al 50 per cento circa).

Inoltre, bisogna rafforzare le politiche che incentivano la crescita demografica e allungare la vita lavorativa delle persone. Da ultimo è necessario innalzare il livello di istruzione della forza lavoro che in Italia è ancora tra i più bassi di tutta la Ue”.

Poco tempo per sostituire chi esce

Il tempo per sostituire è poco, fino al 2027: “altrimenti fra qualche la sanità e la previdenza rischiano di implodere”, avverte la Cgia.

Tra il 2023 e il 2027, ad esempio, il mercato del lavoro italiano richiederà poco meno di tre milioni di addetti in sostituzione delle persone destinate ad andare in pensione.

Insomma, nei prossimi 5 anni quasi il 12 per cento degli italiani lascerà definitivamente il posto di lavoro per aver raggiunto il limite di età. Con sempre meno giovani destinati a entrare nel mercato del lavoro, “sostituire” una buona parte di chi scivolerà verso la quiescenza diventerà un grosso problema per tanti imprenditori.

La popolazione in età lavorativa (ossia fra i 15 ed i 64 anni) è scesa di 755.000 unità negli ultimi 5 anni, dei quali 133.000 solo lo scorso anno.

Ci saranno comparti a serio rischio, su tutte immobiliare, trasporti, ricettivo e moda ma con una popolazione che invecchia il vero rischio, come sottolinea la Cgia è che l’economia possa andare in tilt: aumento della spesa sanitaria, pensionstica  e farmaceutica oltre al fatto che sarà sempre più difficile fare la spesa.

La situazione a livello provinciale

A livello provinciale, secondo l’analisi Cgia nel 2022 la realtà territoriale più virtuosa d’Italia è stata Milano (saldo dato dalla differenza tra il numero delle pensioni e gli occupati uguale a +342.000).

Seguono Roma (+326.000), Brescia (+107.000), Bergamo (+90 .000), Bolzano (+87.000), Verona (+86.000) e Firenze (+77.000). Male il Sud. Tra tutte, solo le province di Cagliari (+10.000) e Ragusa (+9 .000), presentano un saldo positivo.

Le situazioni più squilibrate, invece, riguardano Palermo (-74.000), Reggio Calabria (- 85.000), Messina (-87.000), Napoli (-92.000) e Lecce (-97.000).

Redazione Cuoreeconomico
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